(Febbraio 2009)
I nostri giri intorno a chi ci amò e a chi amammo
aumentano spirali ogni volta di più
il posto delle coperte avvolge ora la pietra
il tocco delle mani ora disegna l’aria
e resistiamo al gelo
se un dio ci schianta il cuore
dopo avercelo messo dentro il petto
una buona ragione bisogna che ci sia per questo strazio
non venga a raccontarci di bellezza
di tramonti e di mari quando, se pure in cima al mondo
il nostro brulicare è un solo grido.
Io non ti temo, i lutti che tu puoi dimenticare
i tuoi figli che stanno sulla croce adesso
e tu concedi ancora le stagioni
questi sproloqui miei
ogni artificio purché ci si distragga da chi siamo
e nel mentre apro parentesi tra bocca e cervello
e sparpaglio parole come samare
sapendo che in te sono il mio buio, e che
_se mai ci sarà luce_ non avranno spessore.
Potresti incenerirmi e non lo fai
quale giullare io sono che ti canto le messe sull’altare
della mia solitudine, e mi abbagli
con un pugno di effimeri piaceri e nei ritagli d’anima
mi siedi, bambino mio,
mio giubileo dei sensi, o mio martirio d’ombra.
Allora oso parlarti dagli abissi
della mia inconoscibile sostanza
prassi del divenire e mai di eterno conoscerti
ma il grido mio ti laceri l’immenso
e ti sia eco di questo oltraggio che hai chiamato vita.
Riparalo se puoi. Noi siamo stanchi.
“ma il grido mio ti laceri l’immenso
e ti sia eco di questo oltraggio che hai chiamato vita.
Riparalo se puoi. Noi siamo stanchi.”
Grazie.
Un abbraccio
gb
Colpisce forte la tua "interpretazione" dell'Urlo.
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grazie, cara gb,
ti abbraccio ❤
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letta solo ora, è bellissima.
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grazie, Fausto 🙂
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Bella e contundente anche l’immagine che reinterpreta l’Urlo.
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mi piace il “contundente”… 😀
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